Le motivazioni sul ricorso di Gavillucci: una decisione storica che apre mille problemi nell’AIA

Le motivazioni della vicenda Gavillucci risultano meno nette di quanto mi aspettassi ma, in ogni caso, rappresentano perfettamente quel che è stato ed è da sempre il vero vulnus della valutazione degli arbitri, in ogni categoria. Ci sono ampi margini per correggere il problema e, in tutta franchezza, non è nemmeno così complesso aggiornare le norme di funzionamento per renderle più oggettive.

Il testo completo delle motivazioni le trovate a questo link

Personalmente sono stupito, ancora una volta, dalla rappresentazione dell’AIA come associazione avente natura privatistica ma è una questione che affronterò successivamente.

Il ricorso in appello di Gavillucci è stato in gran parte ritenuto infondato ma accolto per un principio perfettamente espresso dalla Corte Federale d’Appello:

La fattispecie, in altri termini, è quella della partecipazione ad una forma, seppur atipica e particolare, di “selezione”, nell’ambito della quale i concorrenti, per le esigenze di trasparenza, imparzialità e par condicio tra gli stessi partecipanti (arbitri), devono conoscere, in anticipo rispetto alla “gara”, quali saranno i criteri che gli organi tecnici deputati prenderanno in considerazione ai fini di valutarne le singole prestazioni tecnico-sportive, onde fornire all’AIA gli elementi necessari alla redazione della graduatoria conclusiva, in esito alla quale saranno, poi, dalla predetta Associazione, adottate le decisioni di dismissione, conferma, promozione ed altro di competenza della medesima“.

In sintesi, la Corte ha riconosciuto che gli arbitri vengono giudicati e valutati sulla base di parametri che non sono mai stati elencati specificamente.
La conseguenza è ipotizzata dalla stessa Corte nel passaggio successivo:

Si tratta di un’attività che attiene ad una sfera caratterizzata, di certo – e, giustamente – da ampia discrezionalità, di natura tecnico-valutativa, che, in difetto di predeterminazione e comunicazione dei relativi criteri di giudizio (riservata alla competenza degli organi tecnico-associativi AIA) rischia di sfociare in una sorta di possibile (illegittimo) arbitrio“.

Questa affermazione, ovviamente, non significa che l’arbitrio si sia concretizzato ma che, in mancanza di una chiara esposizione normativa dei parametri utilizzati per la valutazione, questo possa rappresentare un pericolo per tutti gli associati dato che i responsabili potrebbero utilizzare detti elementi soggettivi per indirizzare la formazione di una graduatoria, di fatto non garantendo a tutti la possibilità di competere sulla base delle medesime “regole” (in senso ampio, ovviamente).

Questa affermazione può essere così semplificata (utilizzando termini meno tecnici): gli arbitri hanno il diritto di conoscere, sulla base di una normativa generale, tutti gli elementi sui quali si fondano le singole valutazioni in modo tale da non poter nutrire dubbi sull’esatta individuazione dei dati oggettivi che concorrono alla formazione del giudizio numerico. Ciò per evitare che possano anche solo potenzialmente configurarsi ipotesi di arbitrario giudizio tale da poter indirizzare l’esito della competizione tra gli arbitri, competizione volta alla conferma nel ruolo ed alla promozione nelle categorie superiori.

Non a caso, proprio per puntualizzare questo passaggio, la Corte afferma che:

Quelle esigenze già più sopra ricordate, alla luce del principio di ragionevolezza, impongono, in definitiva, che prima dell’inizio della stagione sportiva e/o, comunque, dei campionati, ogni (arbitro) interessato abbia diritto di conoscere (in anticipo, appunto) quali criteri di valutazione dell’attività professionale-sportiva dello stesso saranno adottati“.

Punto, peraltro, ormai pacifico: anche in occasione dell’ormai famosa sentenza Greco (i particolari li trovate qui) i Giudici del Tribunale Federale, nell’accogliere il ricorso dell’arbitro, sancirono come fosse “evidente che la mera graduatoria finale e i voti di cui essa è formata non siano sufficienti a integrare la motivazione, in quanto non consentono di conoscere le ragioni per le quali l’Organo tecnico e il Comitato dei delegati hanno ritenuto la graduatoria vincolante, applicandola automaticamente in violazione del disposto normativo, e non hanno utilizzato gli ulteriori “eventuali altri criteri” per determinare le promozioni e le dismissioni degli arbitri“.

Insomma, siamo di fronte a due decisioni relative ad arbitri differenti, appartenenti a categorie differenti e ricorrenti in periodi differenti ma che hanno visto riconosciuta l’eccezione secondo cui non appaiano chiari i parametri indicati come “altri eventuali criteri”.
E’ conseguenziale che, con questa generica dizione, possa essere ricompreso tutto, finanché (come ha sottolineato la recente decisione su Gavillucci) elementi che potenzialmente potrebbero sfociare nel totale arbitrio.

Una precisazione è necessaria: la Corte Federale d’Appello non ha affermato che l’Organo Tecnico abbia deliberatamente modificato la posizione di classifica dell’arbitro ma ha semplicemente espresso un concetto di diritto che apre alla possibilità che una tale circostanza possa verificarsi. Nessun atto di accusa, pertanto, contro Rizzoli o chicchessia ma solo l’espressione di una possibilità che potrebbe concretizzarsi in mancanza di una espressa elencazione oggettiva di tali criteri oggi genericamente citati.

Un ultimo appunto dev’essere sottolineato.
Il ricorso di Gavillucci è stato accolto per questo motivo specifico e la Corte Federale d’Appello ha implicitamente affermato che ciò è stata una conseguenza generata dalla recentissima sentenza della Cassazione a Sezioni Unite in merito alla questione Rieti-Pomezia avente come oggetto il risarcimento di Marrazzo e D’Elia.

In particolare la CFA ha espresso questo principio: “La “storica” sentenza appena ricordata sembra, implicitamente, confermare che, anche considerato che i direttori di gara delle serie professionistiche (essenzialmente CAN A e CAN B)
partecipano nel perseguimento delle finalità pubblicistiche assegnate a questo ambito dell’ordinamento sportivo e sono sostanzialmente compensati per la loro attività con fondi riferibili, in qualche modo – seppur indirettamente – alla sfera delle risorse pubbliche, i metodi e le procedure di selezione degli stessi non possono essere del tutto esenti da forme di controllo e, prima ancora, non possono non essere destinatarie degli ordinari principi di legittimità, chiarezza e trasparenza, onde garantire una partecipazione consapevole ed un metodo selettivo imparziale
“.

Peraltro non era difficile immaginare che la sentenza della Corte di Cassazione Sez. Unite del 9 gennaio 2019, n. 328 avrebbe avuto un peso notevole nel procedimento, così come ebbi ad affermare all’indomani della pubblicazione della stessa:

Rimane un dubbio, peraltro di non poco conto: per quale motivo la Corte Federale d’Appello ha riconosciuto l’arbitro come soggetto “investito di fatto di un’attività avente connotazioni e finalità pubblicistiche” (sulla base proprio della recente sentenza della Cassazione) ma, precedentemente, ha ribadito “la natura privatistica dell’AIA e la conseguente inconferenza, su un piano generale, dei generici richiami alla applicazione delle norme e delle procedure di natura amministrativa in senso stretto considerato, questa Corte non nutre dubbio alcuno in ordine al fatto che le valutazioni di natura tecnico-discrezionale relative alle prestazioni degli arbitri non possano essere sottoposte a giudizio, laddove effettuate in presenza dei relativi presupposti normativi e connessi principi di legittimità”?

Peraltro, a mio modesto parere, la questione è stata liquidata troppo velocemente e senza motivazione esaustiva poiché, in nessun passaggio, si spiega per quale motivo l’AIA debba essere considerata associazione avente connotazione privatistica, passaggio che, seppur non necessario, avrebbe permesso di far luce definitivamente sul tema. Come possa considerarsi privatistica un’associazione che opera nel “mondo CONI” e che, pertanto, utilizza fondi pubblici, continua ad apparirmi misterioso.
Senza considerare un altro punto fondamentale: non solo l’AIA utilizza indirettamente fondi pubblici (destinati alla stessa dalla Federazione che, a sua volta, viene sovvenzionata dal CONI) ma si regge economicamente anche sui contributi obbligatori degli stessi associati dato che, per ogni stagione, gli arbitri sono tenuti al pagamento della cosiddetta “quota associativa” alla sezione.

Credo che sia totalmente inutile tornare su una bufala letta tante volte in queste settimane: non c’è il minimo accenno ad una singola gara, tantomeno a questioni relative ad interruzioni temporanee delle gare per cori razzisti perché, come ripetuto più volte, questo argomento non c’entrava assolutamente nulla, trattandosi di una questione di importanza molto superiore.
Peraltro è lapalissiano il motivo: approfondire una questione giuridica è poco attraente, collegarla strumentalmente ad un episodio di cronaca parasportiva attira molti più click sul link…

Quali sono le conseguenze di tale determinazione della Corte Federale d’Appello?
Come già annunciato dall’AIA, l’associazione si rivolgerà al Collegio di Garanzia del CONI.
Il paradosso lo ribadisco nuovamente: trovo assurdo che l’AIA si rivolga ad un organismo sovrafederale per ricorrere contro un proprio associato per difendere delle norme che sono state dichiarate illegittime più volte.
Peraltro, lo ricordiamo, il Collegio di Garanzia avrà una competenza solo di controllo di legittimità nel senso che non potrà affrontare (se non incidentalmente) nel merito della questione. In sostanza l’AIA potrà veder accolte le proprie ragione solo se verrà riconosciuto (per esempio) un difetto di motivazione in merito al motivo di accoglimento del ricorso: ipotesi molto complessa dato che la Corte Federale d’Appello si è lungamente (e non casualmente, a mio parere) soffermata proprio sulla questione incentrata sugli “altri eventuali criteri” di valutazione, di fatto rendendo inattaccabile il principio di diritto.

Per quanto mi riguarda, fossi nell’AIA non ricorrerei al Collegio di Garanzia ma, proprio per tutela degli associati, concentrerei l’attenzione sulla modifica delle norme di funzionamento, indicando specificamente i parametri di valutazione per ogni categoria.

Pensate solo a quanto accadrebbe nel caso in cui l’AIA dovesse ricorrere e vincere: potrebbe giovarsi di una eventuale decisione che gli consentirebbe di basare le scelte degli organici sulla base di elementi non conosciuti e non conoscibili da parte degli arbitri.

In sostanza, un eventuale ricorso dell’AIA significherebbe la volontà di lottare per poter applicare ancora delle norme che, secondo la Corte Federale d’Appello, potrebbero sfociare nell’arbitrio soggettivo.

Un panorama che sarebbe quantomeno deprimente.

9 commenti
  1. grigio
    grigio dice:

    Solo una curiosità: a chi a suo tempo le chiedeva un commento alle gare degli ottavi di finale di Coppa Italia ha risposto che non aveva visto le gare, io ieri mi aspettavo una analisi sulle gare dei quarti di finale e non ho letto nulla, ma la Coppa Italia non le interessa?

    • Luca Marelli
      Luca Marelli dice:

      La Coppa Italia si gioca in settimana ed è un problema non da poco: questa è una passione, non il mio lavoro.
      Cerco in ogni modo di trovare il tempo per le Coppe Europee ma, per la Coppa Italia, diventa complesso: non posso togliere troppe ore alla professione, ho uno studio da mandare avanti.

  2. Anonimo
    Anonimo dice:

    Che triste leggere oggi che l’AIA, la mia associazione e per questo rimango anonimo visto che sono già girate diverse minacce neanche troppo velate a chi ne parla sui social, si sarebbe attaccata all’assenza di certificazione medica di un ragazzo che da mesi arbitra con un regolare certificato medico.

  3. Marco
    Marco dice:

    Purtroppo l’Aia come molte associazioni quando deve giudicare in questo caso un arbitro non usano il metodo della meritocrazia ma della simpatia ( amico dell’amico specialmente negli arbitri dilettanti). Inoltre l’incapacità per la maggior parte degli osservatori e dei componenti fa il resto. Vorrei fare una domanda ai presidenti dei vari CRA. Spiegatemi come un osservatore o componente che hanno arbitrato in modo scandaloso in 2 categoria sostenere l’arbitraggio di uno che fa eccelenza o promozione. La maggior parte non capisce niente di calcio e arbitraggio e giudicano tanto per far vedere che sanno. Il male e’ questo che ci sono degli incapaci che vogliono fare i capaci. Inoltre ogni uno ha il suo modo di vedere. Non adottano nessuna disposizione nessuna linea. Uno dice una cosa e la settimana dopo un altro ne dice un’altra nello stesso episodio. Veramente scandaloso.

    • Luca Marelli
      Luca Marelli dice:

      La Corte Federale d’Appello, tra le righe, ha ventilato questa ipotesi.
      Sul giudizio relativo ad osservatori ed organi tecnici non mi trovi d’accordo ma sono valutazioni personali sulle quali non voglio entrare, si dovrebbe aprire un gigantesco argomento. Prima o poi andrà fatto ma, per ora, attendiamo l’esito definitivo di questa vicenda.

  4. FRANCESCO GRECO
    FRANCESCO GRECO dice:

    Che goduria leggere le sue esaustive, chiare e corroboranti recensioni! Le sue osservazioni ed argomentazioni sulle varie problematiche sono di una precisione impressionante! Chapeau, come al solito.

  5. Sergio
    Sergio dice:

    La via intrapresa con la sentenza delle sezioni unite della Cassazione è oramai irreversbile ed anche all’AIA non potranno non applicarsi i principi tipici della pubblica amministrazione quali la trasparenze, la correttezza e l’imparzialità. Tant’è che la CFA ha attinto a piene mani dalla giurisprudenza del massimo giudice amministrativo, anche quando, illogicamente, per motivare il rigetto del 4 punto del ricorso, ritenendo l’AIA di natura privatistica, alla quale non si possono genericamente applicare le norma di carattere amministrativo, cita una giurisprudenza da tempo consolidata del CdS sull’insidacabilià del giudizio tenico dei Commissari di concorso che può essere sindacato solo in casi estremi.
    Per il resto la strada per l’AIA non mi pare agevole. Non inganni il fatto che sia stato accolto solo parte del 3 motivo di ricorso che da solo ha condannato l’AIA. E’ fondamentale che i criteri di valutazione, quindi le regole, siano prestabilite e conosciute, perciò trasparenti. Che la discrezionalità riguardi solo le valutazioni tecniche e non anche le regole ed i criteri di applicazione. Scusate se è poco.

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