VAR: perché il challenge è la soluzione alla rigidità del protocollo

Nonostante il VAR sia entrato nel calcio da soli tre anni (considerando anche la stagione di sperimentazione offline), il protocollo appare già vetusto, troppo rigido, eccessivamente limitativo dell’ambito di applicazione.

Eccezioni che hanno un fondamento.
Troppe volte abbiamo dovuto riferirci ad episodi molto opinabili riferendoci alla dizione di “episodio valutato soggettivamente dall’arbitro“: in tali circostanze, come ormai è chiaro, il VAR nulla può dato che il protocollo è stato pensato non per un utilizzo moviolistico della tecnologia ma come strumento per impedire che episodi chiari ed evidenti possano sfuggire al direttore di gara.

Il problema principale nasce proprio da questa dizione: che cos’è un “chiaro ed evidente errore”?
E’ stata la stessa IFAB a definire questo concetto, a pagina 4 del protocollo:

In particolare, nella seconda parte del testo riportato, l’IFAB ha sottolineato che il VAR non potrà essere utilizzato nel caso in cui ci sia il dubbio che la decisione sia sbagliata ma solo nel caso in cui “la decisione [assunta in campo] sia chiaramente sbagliata“.

Inutile nasconderlo: è un artificio linguistico per posizionare un’asticella molto alta e per limitare l’utilizzo della tecnologia solo a fattispecie che siano stato decise basandosi su un’errata percezione di quanto accaduto in campo.
Una tale definizione non crea grandi problemi sulla più ampia casistica di applicazione, cioè i tocchi di mano.
Come tante volte sottolineato, i tocchi di mano sono in assoluto i più difficili non solo da giudicare ma anche solo da notare.
La spiegazione è quasi banale: un arbitro (un qualsiasi arbitro, dalla Serie A fino al giovane del settore giovanile e scolastico) non porrà mai l’attenzione principale sulle mani o sulle braccia dei calciatori poiché sono arti che non possono essere validamente utilizzati per il gioco.
Naturalmente può capitare che un arbitro di particolare talento possa individuare anche tocchi di mano punibili senza ricorrere alla tecnologia, così pure ci si aspetta che un arbitro della massima categoria non debba ricorrere alla review per poter punire un fallo di mano plateale. Ciò, però, non sposta il focus della questione: i tocchi di mano erano, sono e rimarranno oggetto del maggior numero di “sviste” in qualsiasi categoria, con la sostanziale differenza che, in Serie A, questi errori di percezione possono e potranno essere corretti con una “on field review“.

Naturalmente ciò non significa che tutti i tocchi di mano debbano essere sottoposti all’attenzione dell’arbitro. Anche in questi casi vale il principio del chiaro ed evidente errore, cioè di un tocco di mano non valutato come punibile ma che non offra margini di discrezionalità una volta rivisto.

Prendiamo ad esempio degli episodi sui quali il VAR non è intervenuto:

Sono due episodi sui quali si è discusso molto nel recente e meno recente passato: il tocco di mano di Koulibaly in Napoli-Bologna e quello di Denswil in Bologna-Roma.
In entrambi i casi il VAR non ha consigliato all’arbitro una “on field review” perché non si trattò di chiari ed evidente errori ma solo di episodi per i quali la decisione assunta in campo (non punibilità) apparve sostenibile. Correttamente, aggiungo: in entrambe le circostanze siamo abbastanza lontani dal poterli considerare episodi di decisioni chiaramente sbagliate ma, al contrario, si è trattato di scelte ampiamente condivisibili (non riapriamo il dibattito sui casi specifici, sono solo esempi per poter chiarire un concetto generale).

Non è certo un caso, pertanto, che la maggior parte delle “on field review” abbia ad oggetto i tocchi di mano e ciò per la questione appena evidenziata: sono le fattispecie di più difficile individuazione.

Altro discorso, completamente differente, riguarda i casi nei quali ciò che deve essere giudicato sia da ricercarsi nel concetto di “entità” o  di “intensità”: di un contatto, di una trattenuta, di una spinta. In queste circostanze il confine imposto dal protocollo diventa infinitamente più labile fino ad identificarsi con il concetto di “episodio grigio” o “borderline”.

Ma cosa significano queste dizioni?
Concetti apparentemente semplici ma che rappresentano la base per qualsiasi discussione: la discrezionalità dell’arbitro nella valutazione del singolo episodio.

Se, da un lato, un tocco di mano può essere facilmente individuato come punibile (al di là delle tante congetture, per un arbitro non è così difficile distinguere un tocco di mano non punibile da un fallo di mano), meno netto è il confine (per esempio) tra contrasto nei limiti e fallo.
Ed è proprio su questo argomento che si innescano le grandi discussioni in materia: è un contatto tale da essere considerato meritevole di calcio di rigore oppure no?

Ci sono episodi che il VAR non può sindacare poiché, se intervenisse, invaderebbe il campo della valutazione soggettiva dell’arbitro, di fatto divenendo un giudice superiore (ed aggiungendo discrezionalità ad altra discrezionalità). Ciò è esattamente quel che il protocollo impedisce, formalizzando in un principio fondamentale il concetto e cioè che la funzione dell’arbitro di campo deve rimanere centrale, lasciando al VAR un ruolo di supporto esterno per evitare che il risultato venga inficiato da sviste, abbagli, decisioni chiaramente errate.

Ciò non toglie, però, che esistano episodi per i quali la valutazione del VAR possa essere differente da quella dell’arbitro.
Poniamo un esempio di scuola: un arbitro in campo ed un VAR possono avere (legittimamente, trattandosi di esseri umani e non di robot) idee differenti su una singola casistica. In particolare un fallo in area, a ruoli invertiti, potrebbe essere giudicato da rigore per un VAR e non da rigore per un arbitro in campo. Ciò, per conseguenza, può portare all’ipotesi che un calcio di rigore possa essere assegnato per il solo fatto di avere in campo un arbitro più o meno severo sui contatti. Oppure può accadere il paradosso: l’arbitro di campo ha visto un contatto valutandolo molto più “intenso” rispetto alla realtà e, in cabina VAR, un altro arbitro lo ha giudicato “netto”, essendo dotato di un metro soggettivo molto più severo.

Ecco, dunque, che il protocollo mostra il suo vero (ma ineludibile) punto debole: l’impossibilità di tracciare una linea interpretativa comune poiché l’entità dei contatti non può essere classificata sulla base di una scala. Per semplificare: un terremoto viene valutato, nella sua intensità, sulla base delle scale Richter o Mercalli. Chiaramente un contatto tra giocatori è impossibile da qualificare secondo parametri oggettivi, per quanto esistano “entità” differenti.

Per ovviare a questo oggettivo problema interpretativo, pertanto, l’IFAB ha volutamente scritto un protocollo molto rigido che, di fatto, impedisce al VAR di intervenire sui contatti “corpo a corpo” tra calciatori a meno che lo stesso contatto:
– non sia del tutto sfuggito all’arbitro;
– sia chiaro ed evidente (cioè oggettivo);
– sia stato determinato da un un’interpretazione errata della dinamica (per esempio: sia stata vista una deviazione in angolo ma, in realtà, ci sia stato solo uno sgambetto).

E’ di prima evidenza che queste ipotesi, NON alternative ma necessariamente contemporanee, difficilmente possano concretizzarsi tutte nello stesso istante. Può accadere:

Questo è un caso in cui tutti i presupposti si sono concretizzati:
– l’arbitro non ha visto l’episodio (dato che, dalla sua posizione, era coperto dallo stesso difendente);
– l’episodio è oggettivamente regolare (il contatto tra calciatori è frutto della semplice dinamica);
– l’arbitro ha visto un fallo sul calciatore, perdendosi completamente l’anticipo (netto) del difendente sul pallone.

Di fronte ad un episodio ben deciso ed oggettivamente semplice, però, ce ne sono decine in ogni campionato che rimangono sospesi nell’incertezza.
In particolare rimane sospesa una domanda: se l’arbitro l’avesse rivisto, avrebbe deciso alla stessa maniera?

Ed è proprio questa la domanda fondamentale.
Ci sono episodi che sfuggono alla comprensione del grande pubblico e che, anche oggettivamente, rimangono inspiegabili. Dobbiamo, però, individuare due grandi gruppi di casistiche:
– gli errori;
– le decisioni dell’arbitro non corrette dal VAR ma con procedimento decisorio in linea col protocollo.

In entrambi i casi, però, la soluzione è proprio nel challenge (o come verrà chiamato, per diversificarlo dagli altri sport come il football americano, richiamato dall’immagine di “copertina” nella quale è raffigurato la famosa “red flag“, nel caso specifico lanciato dal coach NFL Bill Belichik dei New England Patriots) perché consentirebbe di superare sia gli errori (che indubbiamente esistono) sia le interpretazioni estreme del protocollo.

Partiamo dagli errori:


Le immagini richiamano alla memoria due episodi sui quali ci sono state infinite polemiche: la simulazione di Mertens in Fiorentina-Napoli e quella di Chiesa in Fiorentina-Atalanta (stagione scorsa).
In entrambi i casi i VAR commisero un errore: non richiamarono l’arbitro alla “on field review“, sostenendo la decisione dell’arbitro centrale di concedere il calcio di rigore. Calci di rigore chiaramente inesistenti.
Cosa sarebbe accaduto se le società avessero avuto a disposizione la possibilità di chiamare l’arbitro alla review? La risposta è quasi banale: l’arbitro avrebbe rivisto l’azione, revocato il calcio di rigore assegnato ed eventualmente deciso di ammonire il calciatore con un cartellino giallo per comportamento antisportivo (simulazione).

Questione che diventa leggermente più complicata (ma nemmeno tanto) in caso di applicazione (giusta) del protocollo. Anche in questo caso due esempi:


Dobbiamo partire da un presupposto.
In entrambi i casi (Reina-Kouamé in Genoa-Milan e Ilicic-Kryvstov in Atalanta-Shakhtar Donetsk) è stato corretto il comportamento del VAR: per quanto si tratti di due calci di rigore molto, molto, molto generosi (per non dire del tutto inesistenti), un contatto c’è stato (oppure le immagini non l’hanno escluso, come nel secondo caso) ed il VAR si è trovato nell’impossibilità di richiamare alla review l’arbitro della partita.

Una volta accettato il principio generale, si impone una riflessione sulle opzioni per ovviare alla questione (che esiste, inutile girarci attorno):
– allargare l’ambito di applicazione del protocollo;
– concedere alle società la possibilità di richiamare alla review l’arbitro, superando il primo giudizio del VAR.

La prima opzione, per quanto mi riguarda, non è percorribile.
Il VAR è stato strutturato proprio per evitare che la tecnologia trasformi il calcio in una moviola infinita. Trattandosi di un gioco di contatto il confine tra contatto regolare e contatto irregolare è spesso molto labile. E’ chiaro che interrompere una gara venti volte per altrettante review è fuori da ogni logica: non è un videogioco da mettere in pausa.

Molto più interessante la seconda per almeno tre motivi:
– il VAR non ha rivoluzionato il gioco (le regole sono sempre le stesse) ma ha impedito che gran parte degli errori andassero a modificare il risultato ingiustamente. Per tal motivo è iniquo che lo stesso sia uno strumento a disposizione dei soli arbitri: più corretto che sia uno strumento utile a tutto il calcio, perciò società comprese;
– si supera la rigidità (doverosa) del protocollo, consentendo agli arbitri di valutare con più calma episodi che già in presa diretta erano apparsi “al limite” (o “grigi”, come si dice in gergo);
– si responsabilizzano le stesse società.

Fondamentale il terzo punto, a mio parere.
E’ ovvio che, nel caso in cui venisse consentito alle società di poter utilizzare un “challenge“, questo dovrebbe essere limitato nel numero e nelle casistiche: non si può certo pensare ad un’opzione infinita (al massimo una per tempo, secondo il mio parere) e nemmeno ad un ambito applicativo troppo esteso.
E’ ipotizzabile che le società possano avere un confine meno limitato rispetto al protocollo attuale ma non troppo ampio, onde evitare il rischio (concreto) che il challenge venga utilizzato come arma tattica (per esempio per “rompere il ritmo” degli avversari nei minuti conclusivi della partita). Allo stesso tempo, però, si potrebbe pensare che le società possano utilizzare il proprio challenge per rivalutare un’ammonizione (ciò che non è consentito adesso) dato che un cartellino giallo ad inizio gara può essere fondamentale sia in prospettiva espulsione sia, soprattutto, per questioni puramente tattiche (è più “pesante” il cartellino giallo per un difensore centrale rispetto a quello per un attaccante).

Naturalmente dobbiamo essere consapevoli che nemmeno il challenge toglierà ogni dubbio.
Prendiamo, ancora una volta, due esempi:


Si tratta del contatto Kolarov-Suso in Roma-Milan dello scorso campionato e del recente Sensi-Arthur di Barcellona-Inter.
In queste circostanze è indubbio che le società avrebbero richiamato l’arbitro alla review ma è tutt’altro che scontato che lo stesso direttore di gara avrebbe recepito la richiesta concedendo il calcio di rigore. Una chiamata della società non equivale a certezza di decisione a favore perché siamo di fronte a due episodi “grigi” sui quali incide conta il metro di giudizio dell’arbitro.

Lo stesso dicasi per altri episodi al limite, non necessariamente in area di rigore:


Altri episodi sui quali ci possono legittimamente sostenere tesi differenti: Barella su De Paul in Inter-Udinese e Pjanic su Di Gaudio in Parma-Juventus. Entrambi valutati da cartellino giallo, entrambi molto al limite dell’espulsione.
Impossibile sapere cosa avrebbe deciso l’arbitro una volta rivisti ma non sarei stupito se dovessi sapere che i direttori di gara protagonisti delle decisioni avrebbero optato per il cartellino rosso.

Un’ultima considerazione.
Concedere un’opzione del genere alle società avrebbe un effetto enormemente positivo: responsabilizzerebbe le società stesse, gli allenatori ed i calciatori. Non solo gli stessi si renderebbero conto di quanto difficile sia prendere una decisione in frazioni di secondo ma, soprattutto, sarebbero costretti a razionalizzare una protesta trasformandola in un’azione concreta. In tal modo dovrebbero ragionare anche sulle conseguenze: “sprecare” un challenge ad inizio gara su una decisione discutibile ma marginale (esempio: ammonizione ad un calciatore) diverrebbe responsabilità personale e non più scaricabile su arbitri o VAR.
Lo affermo senza alcuna remora: una responsabilizzazione delle società sarebbe un grande passo avanti perché eliminerebbe in gran parte le recriminazioni strumentali.

Come avrete notato, tutto il ragionamento prescinde completamente dalla questione “fuorigioco”.
Il motivo è banale ma è giusto ricordarlo in conclusione: sul fuorigioco si è raggiunta l’oggettività. Il “cross air” (il sistema di puntamento tridimensionale su immagine bidimensionale) ha eliminato qualsiasi questione soggettiva (al netto di risibili congetture). Ciò che non può essere eliminato del tutto (come spiegato a grandi linee) su episodi che concernono contatti tra calciatori.

20 commenti
  1. Valerio L.
    Valerio L. dice:

    Già in passato (mi sembra anche qui) mi sono espresso in modo decisamente favorevole sul possibile “challange”. Certo, sarebbero da studiare le modalità (numero di chiamate a tempo/gara, eventuale cumulo se non si chiamano, “sconto” se la chiamata viene accolta, tempo a disposizione per chiamarlo, etc.), ma sarebbe sicuramente un passo avanti.
    Io vedrei in modo favorevole il fatto che anche questo aspetto rientri nella gestione della gara, da parte delle società. Immaginiamo (ad es.) che venga estesa l’applicabilità della chiamata a qualsiasi evenienza: se un mister (o chi per lui) si gioca la chiamata per un fallo laterale, semplicemente perché gli sale il sangue al cervello… bene lo faccia; poi però se non gli sono rimaste chiamate quando c’è il possibile rigore… fatti suoi.
    Quanto alla quantità di chiamate una soluzione potrebbe essere quella di mettere un tot a stagione (ad es. 38, l’equivalente di una a gara) ed un massimale a gara (ad es. 2 o 3): così le società sanno quale è il “monte” di interventi massimi stagionali e quanti a gara ed intervengono solo se “certi” che la decisione sarà ribaltata.
    Questo spingerebbe, verosimilmente, a dotarsi sia di tecnici video specializzati (che trattino le immagini in fretta) sia di esperti del regolamento (verosimilmente ex arbitri), con indubbio vantaggio anche delle conoscenze e dinamiche regolamentari all’interno delle società (cosa utilissima!).
    PS. Grazie per questo articolo.

  2. Francesco
    Francesco dice:

    Buonasera Sig. Marelli, l’ ipotesi challenge da lei sostenuta potrebbe davvero migliorare gli arbitraggi, ma non riesco capire in quale maniera una panchina potrebbe chiedere una challenge. Ad esempio abbiamo visto interventi del Var molto tempestivi dopo pochi secondi da un episodio, mentre altri interventi sono avvenuti tardivamente con azioni nel frattempo proseguite. Nel caso di challenge come potrebbe essere regolamentata una chiamata dalle panchine? Magari la challenge da una panchina potrebbe accadere nello stesso momento in cui anche l’ arbitro viene richiamato dal Var per lo stesso episodio..e allora sarebbe il caos totale: verrebbe considerata utilizzata la challenge oppure non sprecata e riutilizzabile dalla panchina nel prosieguo della partita? Forse bisognerebbe regolare le chiamate al Var entro limiti temporali ben definiti…ad esempio dopo un episodio dubbio 30 secondi di tempo per una panchina per fare eventualmente la challenge, mentre 60 secondi di tempo dopo un episodio a disposizione di arbitro e Var per ricorrere eventualmente alla review. Qual’ è tecnicamente la sua idea per regolamentare la challenge? Come detto, può essere utilissima ma vi è il rischio che si sovrapponga alla chiamata tra arbitro e Var o che magari venga sprecata inutilmente su episodi su cui magari pochi secondi dopo il Var sarebbe intervenuto comunque dopo il colloquio all’ auricolare tra arbitro e Var, come accade ora. Grazie. Cordiali saluti.

    • Luca Marelli
      Luca Marelli dice:

      Nella NFL sono riusciti a far quadrare la disciplina: certo ci vorrà del tempo, non c’è nemmeno l’ipotesi per ora.
      Vedremo, un passaggio alla volta.

  3. Giunto
    Giunto dice:

    Buongiorno Luca,
    1) se metteranno il challenge, credi che le squadre si avvarranno di un ex arbitro in panchina col compito di valutare se chiamare il challenge o no?
    2) ma la squadra che chiama il challenge, lo farebbe avendo il monitor per valutare l’episodio, oppure dovrebbe chiamare il challenge sulla base di quello che vedono dal vivo?
    Grazie, cordialità

    • Luca Marelli
      Luca Marelli dice:

      1 – Può essere
      2 – In base a quel che vedono dal vivo ma non escludo che si organizzeranno per avere una postazione con monitor dedicati e comunicazione con la panchina.

    • maurizio
      maurizio dice:

      mi intrufolo…

      parlo del volley, che conosco.
      Li hai sette secondi per chiamare il “check”. Se metti un limite così ristretto anche nel calcio, diventa complicato aspettare che qualcuno da fuori ti dica di chiamarlo. E allora si rientra nella casistica che ha evidenziato il sig. Marelli. Le società inizierebbero a capire quanto sia difficile dover prendere decisioni in pochissimi istanti e, forse, inizierebbero ad interpretare gli errori arbitrali (per tanto grandi che siano) solamente come tali e non come conclusioni di congiure studiate in chissà quale stanza di chissà quale palazzo…

  4. Peppe
    Peppe dice:

    Buonasera, ho letto oggi che dalla prossima settimana, in Olanda ,verranno spiegate le decisioni arbitrali dettate dal var. Credo che la chiarezza e l’informazione ,come avviene in questo blog, sia la giusta strada da seguire. Sentire le comunicazioni e/o le spiegazioni potrebbe essere interessante

  5. Giuseppe
    Giuseppe dice:

    Sarebbe veramente un’ottima idea, sono d’accordo con 1 challenge per tempo, però eviterei di eliminarlo qualora la decisione venga cambiata come chiesto dalla squadra, come avviene in altri sport.

  6. Sascja
    Sascja dice:

    Sebbene non sia riuscito ad esprimermi in maniera chiara, nel mio commento nell’altro articolo, ho ben interpretato la tua idea sul futuro del VAR e con cui mi trovo d’accordo io stesso.
    Detto ciò, ritengo che l’utilizzo dell’ipotetico “Challenge” debba essere limitato, come lo è d’altronde il VAR, soltanto su occasioni che portano a un sostanziale “cambiamento” all’interno della partita (es. non sui cartellini gialli).
    Esempio di casi che si sono verificati:
    – una pressione fallosa sul portatore di palla che poi porta al gol della squadra avversaria;
    – un fallo, che non si è concretizzato, in area che ha portato al rigore per la squadra avversaria (Mertens);

    Il mio unico dubbio è che non si deresponsabilizzi troppo chi sta effettivamente al VAR.
    Per quanto ingiusto, non vorrei che chi sta al VAR, usasse un metro troppo blando in certe occasioni soltanto perché la squadra ha la possibilità di usare un “Challenge”.
    In quest’ottica, mi trovo d’accordo con chi sostiene che, mi piacerebbe si ispirasse maggiormente al Tennis con la possibilità di recuperarlo nel caso che la decisione presa sia corretta. Ma penso che questo implichi la possibilità di averne almeno 2 per partita o per tempo (probabilmente la seconda opzione è eccessiva ma bisognerebbe anche implementare un numero maggiore per i tempi supplementari).

    Ho infine un dubbio, sul regolamentare il Challenge, su episodi che possano portare all’espellere un giocatore avversario ma non abbiano un effettivo peso nello svolgimento di un azione a favore/contro della squadra che lo richiede.
    Non credo che il Challenge, se mai verrà implementato, debba essere un arma della squadra per sentenziare gli avversari bensì uno strumento per ravvedere l’arbitro su episodi centrali nello svolgimento della partita (non che l’espulsione non lo sia ma una cosa è la simulazione di Mertens o Chiesa, un altra sentenziare sul lavoro dell’arbitro e cercare di avvantaggiarsene come l’episodio del fallo “Arancione” di Barella).

    Grazie mille come al solito per il tuo lavoro
    Sascja

    P.s. hai letto le esternazioni riguardanti una possibile intervista agli arbitri post partita? Ha detto (credo fosse rizzoli) che è difficile che possa verificarsi.

    • Luca Marelli
      Luca Marelli dice:

      Begli argomenti, da sviluppare.
      No, non ho letto nulla. Ma non mi sorprende quel che ha detto Rizzoli, lo sostengo da sempre: da un lato le promesse mai mantenute di Nicchi, dall’altro la necessità di apertura ma non come vorrebbero i giornalisti.

    • Sascja
      Sascja dice:

      Sinceramente non sono particolarmente d’accordo con una intervista post partita o un manoscritto riguardante le scelte prese durante il corso della partita.
      A che servirebbe? Come capro espiatorio contro chi parla male degli arbitri?
      Personalmente non ne vedo la necessità, ne soprattutto l’utilità.

      Potrebbe avere un senso se, una persona incaricata, alla fine di ogni giornata, riprendesse in pubblico gli episodi controversi (probabilmente questa figura c’è già) ma rimane il mio dubbio sulle finalità di questo tipo di iniziative.
      L’arbitro deve fare l’arbitro e il suo impegno deve essere indirizzato verso la buona riuscita di una partita.
      Il resto sono cose di contorno che poco hanno a che fare con le partite.

  7. David
    David dice:

    Articolo decisamente interessante, anche se, a mio modesto avviso, possiamo introdurre tutti i miglioramenti immaginabili ed inimmaginabili, ma la mentalità del tifoso italiano ed anche di chi va in tv a commentare calcio tenderà sempre a cercare la polemica, vedi ad esempio le prime congetture sulle linee tracciate in caso di fuorigioco… il frame preso.. ecc ecc.
    Il lavoro che stai facendo su questo blog è veramente pazzesco, complimenti (ma lo ammetto… quando giudichi negativamente un episodio contro la mia squadra… non sono mai d’accordo 🙂 )

    • Luca Marelli
      Luca Marelli dice:

      Vedrai che, col passare del tempo, anche sulla tua squadra ogni tanto ti troverai d’accordo: conoscere le regole aiuta ad essere più imparziali.
      Sul resto concordo ma spesso stampa e trasmissioni vanno dietro alle polemiche scatenate proprio da calciatori e dirigenti che, spesso, scaricano su altri la responsabilità. E chi meglio di un arbitro?
      Cominciamo a responsabilizzare i tesserati: vedrai che le polemiche non mancheranno ma, perlomeno, saranno molto più attenuate dalla scelta degli episodi da rivedere.
      Sempre che ce ne siano…

  8. Camillo
    Camillo dice:

    Luca, e che ne penseresti se fossero tolti i VARisti, lasciando solo un numero limitato di challenge per squadra (ad esempio uno per tempo per ogni squadra)
    Cioè rimettere l’onere della richiesta di review al monitor solo alle società stesse?
    E poi farei che se l’arbitro cambia decisione, la richiesta di review non viene conteggiata.
    Your opinion?

    • Luca Marelli
      Luca Marelli dice:

      E chi le seleziona le immagini, per esempio?
      No, i VAR sono fondamentali, non a caso nella NFL non si è mai messa in discussione l’esistenza della centrale operativa.

  9. Luca Bonfanti
    Luca Bonfanti dice:

    Grande articolo a mio parere. Per quanto riguarda il challenge, di cui non sono ancora convinto al 100% pur essendo anche io a favore ( nel tennis è molto più utile vista la sua applicazione, in/out di un colpo. Praticamente come la decisione sul fuorigioco = decisione oggettiva), i casi di applicazione potrebbero essere molti e andrebbero limitati, ma non saprei appunto come trovare una policy abbastanza rigida. Per esempio si potrebbe pensare alla sola area di rigore, però poi si potrebbero lasciare fuori casi di sanzioni disciplinari come dice lei e via dicendo con altri casi. Sul resto dell’articolo trovo veramente ben spiegate le casistiche in cui il VAR può essere richiamato oppure no, questo secondo me è un fattore importante che noi tutti dovremmo prendere in considerazione prima di commentare un episodio.
    Grazie per il tempo speso

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